Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
La sordida tresca fra Suor Virginia, monaca nel convento di Santa Margherita a Monza, e Gian Paolo Osio, andava avanti ormai da diverso tempo.
In tanti sapevano, ma nessuno osava parlare per timore di uno scandalo generale che avrebbe portato allo scoperto tutto ciò che di illecito si perpetrava all’interno di quelle sacre mura e per paura di ritorsioni, dato l’alto rango familiare cui la donna apparteneva.
Gli incontri amorosi tra i due amanti si consumavano senza troppi imbarazzi nella cella di lei, spesso alla presenza delle compagne Benedetta Homati e Ottavia Ricci, nei cui letti pure l’infaticabile Osio non disdegnava di entrare di tanto in tanto, con Virginia compiacente e spettatrice.
Un ménage a dir poco squallido, soprattutto se si pensa allo status delle signore coinvolte e al luogo in cui tutto ciò si verificava.
Eppure anche chi, per motivi e rancori personali, avrebbe voluto denunciare tutto, continuava a tacere.
Non Caterina Cassini da Meda però, una ragazza ribelle entrata di malavoglia in convento a quattordici anni, che mal si adattava alla vita del chiostro, di cui non accettava regole e restrizioni.
Le continue intemperanze alienarono alla giovane la simpatia di molte altre suore, ma l’attrito più tenace Caterina mostrava di averlo nei confronti di Suor Virginia.
I motivi di tanta discordia non sono chiari, ma forse erano sorte tra le due questioni di gelosia, probabilmente riferibili allo stesso Gian Paolo.
C’era stata forse una storia fra la conversa e l’Osio, magari lui l’aveva anche illusa per poi tirarsi indietro, la monaca l’aveva saputo, si era adirata e, come sua abitudine, aveva iniziato a tiranneggiare Caterina?
Oppure Caterina, invaghitasi dell’uomo, ma da lui respinta, aveva finito per odiare, rosa dalla gelosia, Suor Virginia?
Sono solo ipotesi, ma del tutto plausibili, perché l’ostilità della fanciulla cominciò a montare fin quando prese a minacciare di raccontare tutto alle autorità preposte, compreso il particolare di non poco conto delle due gravidanze della signora, una decisione che, se messa in pratica, avrebbe avuto conseguenze disastrose e non facilmente delineabili per i protagonisti del turpe maneggio.
Per quanto si tentasse di rabbonirla, anche con lusinghe e doni, sembra che nulla facesse recedere Caterina dal suo proposito, e fu per questo motivo che si stabilì di ucciderla.
Le dichiarazioni rese dalle imputate durante il processo non chiariscono perfettamente se si trattò di una decisione totalmente condivisa, se l’ordine partì dalla De Leyva o se invece tutte loro finirono per acconsentire ad una volontà del solo Osio, sta di fatto che tutti parteciparono all’orribile misfatto e ne furono quindi ugualmente colpevoli.
La sorte di Caterina era ormai segnata.
Il crimine si compì nella calda notte del 23 Luglio 1606.
Mentre si trovava già da qualche giorno, e proprio per volere delle sue “nemiche”, nella cella di punizione, la conversa, adagiata su uno scomodo pagliericcio, ricevette la visita di Virginia, Benedetta ed Ottavia.
Dopo, pare, un estremo tentativo di ammansirla, cui fece seguito la solita minaccia di spiattellare ogni cosa a chi di dovere, l’Osio irruppe nella stanza e con un corpo contundente colpì almeno due o tre volte sulla testa la giovane, che morì sul colpo.
Lo scempio non era ancora terminato.
Dopo aver momentaneamente nascosto il corpo nel pollaio, esso finì a casa di Osio, dove venne dallo stesso smembrato e nascosto chissà dove nei paraggi, eccetto la testa, che invece fu gettata in un pozzo.
Circa un anno e mezzo dopo però, questa stessa testa ancora bionda e in parte riconoscibile nonostante la permanenza in acqua, il caldo e il tempo trascorso, riemergerà grazie all’opera di alcuni contadini del posto, inchiodando alle proprie responsabilità i suoi aguzzini (Foto da: http://asburgoborboneromanov.forumfree.it/?t=71961909 e http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2013/08/processi-milano-1607-la-monaca-di-monza.html).
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