Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
Prima di affrontare il tema della diffusione dei superalcolici nell’Europa dell’Età Moderna, è d’obbligo una premessa.
Nell’antichità non esisteva la distinzione tra farmaco e alimento come la conosciamo oggi, nel senso che, a causa delle mancate conoscenze chimiche subentrate in seguito, si riteneva che il cibo agisse direttamente sull’individuo che lo assumeva, tanto che la scelta e il dosaggio degli alimenti si credeva svolgessero un ruolo fondamentale per la guarigione da una determinata patologia o semplicemente per mantenersi in forma e in buona salute.
In parole semplici, quanto finora detto sta a significare che secoli fa ad alcuni alimenti come tè, caffè e cacao, venivano attribuite proprietà terapeutiche che in seguito sarebbero state ridimensionate o del tutto messe da parte.
Tale discorso vale anche per l’acquavite, prototipo di tutti i distillati, il cui stesso nome, che vuol dire appunto, letteralmente, “acqua della vita”, la dice lunga su quanto esagerate (e sbagliate) fossero le virtù curative attribuitele in passato; fu solo in pieno ‘600 che essa, dai laboratori degli alchimisti, cominciò lentamente a diffondersi nelle taverne e nelle osterie, riscontrando un immediato e non del tutto positivo gradimento da parte della clientela.
Dall’acquavite derivarono rhum, sidro, grappe, vodka, gin, rosoli e liquori e l’alcolismo, purtroppo, cominciò a diventare una piaga sociale difficile da arginare e combattere (Foto da: mensamagazine.it).
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