Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
Se visitate Pompei (ne vale la pena, ve lo assicuro!), aspettatevi di fare la fila per entrare nel lupanare (il nome deriva da “lupa”, nel senso di prostituta): chissà perché, la vecchia casa d’appuntamenti della sfortunata città, è il luogo che più di ogni altro suscita la curiosità dei turisti.
Eppure lo spettacolo offerto non è fra i migliori: il lupanare, ben conservato nella struttura e completo di affreschi parietali “a luci rosse”, dà immediatamente l’idea dello squallore e della vita infima che al suo interno si consumava tanti secoli fa, quando ragazze e donne, in cambio di pochi spiccioli, tra quelle pareti offrivano se stesse a uomini in cerca di piacere a
basso prezzo.
L’edificio, a cui si accede da uno stretto vicolo, consta di due piani, il primo destinato ai clienti più poveri, il secondo ai più abbienti; i locali sono piccoli e angusti, soprattutto quelli situati al piano terra, e dotati di letti in muratura.
Un corridoio, una balconata, una minuscola latrina e una scala esterna completano il modesto fabbricato.
I dipinti sui muri rappresentano probabilmente gli affreschi più famosi tra tutti quelli rinvenuti a Pompei, sebbene non si sappia di preciso se svolgessero solo una funzione decorativa o se invece costituissero una sorta di “catalogo” con tanto di dimostrazione dei “servizi” offerti; soggetti e temi, neanche a dirlo, sono a carattere esplicitamente erotico (o pornografico?), il che, in fondo, renderebbe abbastanza plausibile la seconda ipotesi (Foto da: ilpatrimonioartistico.it e guideturistichecampania.wordpress.com).
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