Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
Guardate un po’ che articolo mi ha inviato il Prof. Daniele Rossi…
Alzi la mano chi non conosce e non usa, ogni tanto, l’espressione “che c*lo!”, affatto raffinata, ma efficace al punto da essere diventata fin troppo ricorrente nel gergo di tutti i giorni.
Ebbene, poiché tutto ha un’origine, anche ciò che sembra più scontato e banale, questo modo di dire, che sta ad indicare un inaspettato e gradito colpo di fortuna, non fa eccezione.
Non immaginavo che la nascita del detto risalisse addirittura al celebre episodio delle Forche Caudine, per cui, nel ringraziare ancora una volta il professore per il contributo, vi invito a leggere il suo interessante e divertente post.
Lo storico patavino Tito Livio, vissuto a cavallo fra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., nel IX libro della sua monumentale opera Ab urbe condita libri CXLII documenta quanto segue:
“(…) Per primi furono mandati sotto il giogo seminudi i consoli; allora, come ciascuno era prossimo per grado, così era fatto oggetto d’infamia; quindi, l’una dopo l’altra, le singole legioni. Stavano loro intorno i nemici armati, insultando e sbeffeggiando.
Molti furono minacciati con la spada, alcuni anche feriti ed uccisi, se il loro volto, troppo aspro a causa della sconvenienza dei fatti, aveva offeso il vincitore. Così furono fatti passare sotto il giogo e, cosa che è ancora più penosa, sotto gli occhi dei nemici”.
Il contesto storico è quello della cosiddetta Seconda guerra sannitica, ovvero l’insieme di scontri, che videro protagonisti da un lato l’esercito romano conquistatore e dall’altro il popolo che allora abitava l’attuale Campania, fra il 326 ed il 305 a.C.
L’episodio narrato, in particolare, fa riferimento alla sorte toccata agli invasori, in seguito alla resa, nel combattimento noto come “Battaglia delle Forche Caudine”, svoltosi nelle strette gole di Caudium (vicino a Benevento).
Qui i Sanniti caudini, famosi per la loro fierezza, vollero far pagare ai loro avversari, che si erano presentati nei loro territori con arroganza e ben più numerosi, il gesto sprezzante di rifiutare la proposta di accordo senza combattere.
Pertanto, allorché furono gli ambasciatori romani, dopo la grave ed imprevista sconfitta sul piano strategico, ad implorare la sospensione delle ostilità, i padroni di casa si dichiararono disponibili purché venisse accettata preliminarmente l’imposizione unilaterale delle proprie condizioni di pace: e così fu.
Benché la succitata fonte descriva i fatti in modo abbastanza allusivo, come del resto ci si poteva aspettare da chi non fu testimone oculare e per di più scrittore “di parte”, dall’incrocio di dati filologici sul lessico dell’epoca e di testimonianze sui codici comportamentali degli eserciti sui campi di battaglia, gli storici moderni sono quasi univocamente concordi nell’interpretare la situazione più o meno in questi termini: i vincitori vollero godersi, quasi sadicamente, non solo lo spettacolo dell’umiliazione morale dei potenti nemici, costretti alla supplica, ma anche la somministrazione di una dura punizione fisica.
In effetti, il giogo di cui parla Livio non era altro che l’incrocio di tre lance tenute sollevate, sotto cui, a turno, furono costretti a passare prima gli ufficiali di grado più elevato e poi tutti gli altri soldati, una sorta di accettazione pubblica e palese della totale sconfitta (un po’ come oggi, chiaramente nel contesto ludico e ben più goliardico delle partite a ping-pong tra amici, quando viene richiesto a chi abbia perso “per cappotto” di piegarsi e passare sotto il tavolo di gioco).
Inoltre, l’utilizzo da parte dello storico di termini quali “seminudi” e “indignitate” non sembra lasciar adito a molti dubbi circa la penetrazione subita alle spalle da ciascuno di coloro che compivano, protesi in avanti, quel mesto percorso.
Da fonti comiche successive, sicuramente non altrettanto autorevoli ma ben più sarcasticamente esplicite in merito, pare si fosse diffusa, in particolare negli ambienti più lascivi dell’Urbe, l’ironica usanza di misurare il grado di buona sorte di una persona in proporzione diretta alle dimensioni del suo sedere, come a dire: se ti capitasse di essere sodomizzato, più grande è il tuo fondoschiena e meno dolore sentirai! (Articolo scritto dal Prof. Daniele Rossi) (Foto da: silab.it e ilsannita.it).
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