Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
Qualche anno fa, quando scrivevo per il sito che oggi si chiama notizie.it, sezione Storia, feci una ricerca per trovare informazioni su Luigi Lucheni, che conoscevo solo come l’assassino di Sissi, Imperatrice d’Austria, ma di cui non sapevo niente altro, né della vita, né della personalità.
Ho così scoperto quanto la pietà e la tenerezza finiscano per stemperare inevitabilmente la rabbia nei confronti del gesto feroce e insensato che lo ha reso celebre; traumatizzato dall’abbandono della madre, perseguitato dal marchio indelebile di figlio illegittimo, Lucheni maturò nell’ambito di una vita troppo difficile e di una solitudine devastante, il proposito di compiere un gesto “eroico” che lo riscattasse da un esistenza miserabile, attribuendo ad esso un valore catartico.
Lucheni scelse Sissi non solo perché preda più fragile e vulnerabile rispetto ad altri governanti dell’epoca, ma anche perché donna; in lei, colpiva al tempo stesso il simbolo di potere e la madre.
Ecco, di seguito, il mio articolo.
(Da notizie.it, “Chi era l’assassino di Sissi. La strana storia della sua testa”, di Maria Paola Macioci, 12 Settembre 2010)
L’uomo dal sorriso beffardo dipinto sul volto scortato da due agenti di Polizia che vedete nella foto, è il venticinquenne Luigi Lucheni subito dopo il suo arresto.
Se il nome non vi dice nulla, l’evento per il quale è tristemente passato alla storia è certamente molto più conosciuto: fu lui, il 10 Settembre del 1898, ad assassinare l’Imperatrice Elisabetta d’Austria, meglio nota come Sissi.
Ma chi era questo giovane dall’aria apparentemente strafottente e perché commise un gesto tanto grave?
Quando questa stessa identica domanda gli venne posta durante l’interrogatorio che ne seguì la cattura, l’uomo rispose: “Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e odio i ricchi”.
In realtà, Lucheni non aveva mai militato in alcun partito né aveva abbracciato una fede politica: il disprezzo ostentato nei confronti del potere e dei regnanti, più che frutto di una meditata elaborazione ideologica e culturale, dipendeva da un odio viscerale e profondo maturato negli anni a causa delle miserevoli condizioni di vita che la sorte gli aveva riservato.
Di certo, l’esistenza di Lucheni fu in salita fin dall’inizio.
Figlio illegittimo di Luigia Lucchini o Lacchini, una povera bracciante che lavorava nella zona di Parma, fu da lei abbandonato presso un orfanotrofio di Parigi (dove all’anagrafe ne francesizzarono il cognome in Lucchèni) subito dopo il parto, poiché frutto di una relazione clandestina; la madre si trasferì in seguito in America disinteressandosi completamente del figlio.
L’abbandono, come è ovvio, segnò profondamente la psiche del bambino, che trascorse l’infanzia presso diverse famiglie che lo sfruttarono dal punto di vista lavorativo senza dargli l’amore e le attenzioni di cui avrebbe avuto bisogno.
Non potendone più, il quattordicenne Luigi lasciò l’Italia e iniziò a girovagare per l’Europa adattandosi a diversi lavoretti retribuiti poco e male.
Intanto, nell’animo del giovane andava maturando un istintivo e insopprimibile sentimento di odio nei confronti di una società che giudicava profondamente ingiusta e della quale si sentiva incolpevole vittima; incapace o forse impossibilitato a cambiare la propria sfortunata condizione, meditò l’idea di un gesto clamoroso che gli garantisse un posto inamovibile nella Storia, qualcosa di grave e irreparabile, da cui fosse impossibile tornare indietro.
E cosa poteva esserci di meglio che l’assassinio di uno di quei potenti che detestava e malediva ogni giorno della sua miseranda vita?
Uno qualsiasi sarebbe andato bene.
Informato della visita a Ginevra, dove in quel momento si trovava, dell’Imperatrice d’Austria, pensò che l’occasione propizia fosse finalmente giunta, e non avendo i soldi necessari a comprare un’arma vera e propria, si accontentò di una lima che fece appositamente affilare da un arrotino e che poi nascose in un mazzo di fiori; scorta la donna mentre si apprestava a salire sul battello che l’avrebbe condotta in visita alla città insieme alla sua dama di compagnia, Lucheni le si avvicinò urtandola violentemente e ferendola con un colpo mortale al cuore.
Sissi si spense poco dopo nella sua stanza d’albergo e il suo assassino esultò.
Ma il sogno di Lucheni di diventare un martire del movimento anarchico europeo si infranse contro la legge svizzera, che non prevedeva la pena di morte; l’omicida fu condannato all’ergastolo e negli anni di prigionia scrisse anche un diario autobiografico in francese, Histoire d’un enfant abandonné a la fin du XIXe siècle, recontée par lui meme, fondamentale per la comprensione dei complessi meccanismi psicologici che si celavano dietro il suo singolare comportamento.
Lucheni restò in galera fino al 1910, finché una guardia non lo trovò impiccato con la cinta dei suoi pantaloni; molto probabilmente si suicidò, ma qualcuno ha avanzato l’ipotesi che possa essere stato ucciso poiché il regolamento carcerario, di solito, impedisce ai detenuti di avere con sé in cella cinture di qualsiasi tipo.
Dopo la morte, il corpo di Lucheni fu decapitato e la testa conservata in un contenitore di vetro riempito di formalina presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Ginevra; dopo formale richiesta da parte delle autorità austriache, essa fu trasferita a Vienna e custodita nel Museo Federale di Anatomia Patologica della città; solo nel 2000 la testa dell’assassino di Sissi è stata sepolta nel Cimitero centrale della capitale (Foto da: wikipedia.it e fotolog.com).
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