Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
L’abitudine di tingere i capelli è antica praticamente quanto l’uomo, basti pensare
all’abilità in tal senso delle matrone romane, capaci di giocare con una vasta gamma di colori da sfoggiare sulle proprie chiome (https://www.pilloledistoria.it//1742/storia-antica/moda-dellantica-roma-tintura-dei-capelli), ma possiamo affermare senza tema di smentita che fu solo nel periodo medievale che questa tecnica raggiunse l’apice della fantasia.
Soprattutto a partire dal ‘300, tutto divenne lecito per conferire alla capigliatura il colore desiderato, anche per coprire i fili grigi che comparivano con l’avanzare dell’età; i rimedi erano essenzialmente a base di elementi vegetali estratti da erbe e fiori, ma anche di minerali e persino di…escrementi di animali.
Per completezza va aggiunto che la tintura dei capelli nel Medioevo non costituiva un’abitudine esclusivamente femminile anzi, gli uomini facevano loro una serrata concorrenza in tale ambito, basti pensare a Francesco Sforza, celebre per la facilità con cui era solito presentarsi in pubblico una volta con la chioma grigia e altre volte nero corvino (nelle foto, in entrambe le versioni).
Anche nel Medioevo tuttavia, così come accadeva da sempre, non era il naturale incanutimento dei capelli a preoccupare maggiormente il sesso maschile, ma la calvizie: la “pelatina”, come venne ironicamente definita dal ‘400, costituì per secoli il maggior cruccio degli uomini in fatto di estetica.
Suggerimenti e consigli riguardo la prevenzione e la cura della perdita dei capelli si sprecavano e ogni intruglio era buono pur di evitarla; i medici dell’epoca si adoperavano come potevano per aiutare nell’intento, come il famoso Aldobrandino da Siena, che si raccomandava di evitare l’uso del sapone, di lavarsi solo con acqua tiepida e di ungersi il cuoio capelluto con olio rosato o mirra.
Su molti testi medievali, un rimedio spesso suggerito per scongiurare la “pelatina”, odiata anche perché rappresentava uno dei sintomi tipici della sifilide, al tempo frequentissima, era l’“Artemisia Abrotanum“. (Foto da: wikipedia.org e storiadimilano.it)
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