Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
A noi fa impressione, ma secoli fa la carne di ghiro era considerata una prelibatezza.
A Roma, ovviamente.
Del resto, esisteva forse una specie animale che gli antichi romani lasciassero libera di vivere in pace?
Probabilmente no se teniamo conto che alla base della loro alimentazione c’era anche questo piccolo ed innocuo esserino.
Non solo.
Prima di arrivare sulle tavole cotti e pronti per essere consumati, questi poveri animali venivano allevati con una serie di particolari accorgimenti, affinché le loro carni risultassero più gustose e saporite.
I ghiri infatti, all’interno di appositi ambienti, restavano per molto tempo ad ingrassare al buio dentro speciali recipienti, le glirarie, e solo quando diventavano idonei per il palato, venivano uccisi e cucinati.
La più comune ricetta a base di ghiro prevedeva che l’animale venisse farcito con polpette di maiale, pepe e laser, una spezia che si ricavata dal succo del silfio, una radice che cresceva a Cirene.
E’ tuttavia opportuno specificare che quella di ghiro, esattamente come ogni altro tipo di carne a Roma (https://www.pilloledistoria.it//2891/storia-antica/cucina-dellantica-roma-carni-preferite,) costituiva un cibo relativamente abituale solo per i cittadini più abbienti, poiché il costo elevato la rendeva proibitiva o quasi a coloro che appartenevano agli strati sociali più bassi (Foto da: antika.it).
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