Ringrazio la rivista Vivesani per aver menzionato il mio blog
“Tu Quoque, Brute, fili mi”? ovvero “Anche tu, Bruto, figlio mio?”.
Questa è una delle frasi più conosciute della Storia, giunta a noi da quel lontano 15 Marzo del 44 a.C., quando sarebbe stata pronunciata da un morente Giulio Cesare accortosi che tra i congiurati che lo stavano assassinando c’era anche Bruto, suo amato figlio adottivo (o naturale, la questione è controversa).
Il condizionale è d’obbligo perché, nonostante la fama secolare di cui l’espressione gode, la sua veridicità è tutt’altro che certa.
La prima perplessità riguarda la mancata menzione della suddetta frase da parte del latino Svetonio e del greco Plutarco, i primi storici a narrare e a descrivere in modo piuttosto particolareggiato la morte di Cesare.
Secondo loro il dittatore, prima di accasciarsi a terra, non disse nulla, anche se Svetonio aggiunge che “secondo alcuni“, quindi secondo voci non verificate, egli, avendo scorto Bruto tra i cospiratori, gli si sarebbe rivolto con tono amareggiato dicendogli: “anche tu, figlio“?
Ciò vuol dire che se non siamo sicuramente in presenza di un falso storico, la probabilità che la frase attribuita a Cesare sia un’invenzione postuma è un’ipotesi relativamente attendibile.
C’è poi qualcuno, una sparuta minoranza di studiosi in realtà, che azzarda una teoria suggestiva ma tutta da verificare e cioè che il dittatore abbia rivolto le sue ultime parole non al figlio, ma a Decimo Bruto Albino, suo caro amico (Foto da: telefree.it).
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